Ogni minuscolo elementare, quark, elettrone, neutrino, o qualunque altra cosa sia, è un essere intelligente in movimento.
Intelligenza implica coscienza e libertà.
Per quanto la libertà sia sempre limitata e relativa, nella misura in cui gli elementari sono miriadi che sgomitano gli uni accanto agli altri.
E libertà implica volontà.
Ogni elementare percepisce ciò che accade, lo sente, interpreta la situazione, matura un desiderio, sviluppa un’intenzione, formula un’ipotesi in merito a come porla in atto, e prova a farlo.
La sua minuscola azione interagisce con le altre miriadi, e la risultante è tutta questa cosa.
Il movimento è libero, ma soggetto ad attrazione o repulsione, che la coscienza percepisce come simpatia o antipatia, amore odio.
D’altronde ci sono azioni, intraprese o subite, che vengono percepite come piacevoli oppure dolorose.
Un elementare non sta fermo, mai.
Gettato in questa situazione che fa?
Sperimenta.
Cioè gioca.
Non c’è scopo, né direzione, solo questa poga universale: l’intelligenza tenta qualcosa e vede se ne ha piacere, mentre prova a sottrarsi a quanto di doloroso incontra.
Si formano gruppi di elementari reciprocamente attratti che si scontrano a velocità vertiginose e tutto schizza in ogni direzione.
Dopo solo tre minuti di questo gioco pazzesco, la maggioranza dei quark trova interessante associarsi in terzine, sestine, anche dozzine, mentre gli elettroni continuano a saettare per ogni dove.
Il risultato è un plasma incandescente e amorfo che si distende e raffredda per centinaia di migliaia di anni, finché un giorno c’è abbastanza spazio fra una terzina e l’altra perché un elettrone innamorato prenda a girare vorticosamente intorno al nucleo, e questo è finalmente un gioco nuovo.
Stare in nuclei compatti e farsi vorticare elettroni attorno è uno spasso.
Ma nulla basta, fine mai, la situazione cambia ogni istante, colto il senso di un gioco serve subito trovarne un altro, un po’ più difficile, qualcosa che richieda maggiore coordinazione, giocare da soli è noia, l’armonia elettrizza, scatena energie orgasmiche.
È tutto qui.
Così elementare.
Così gli elementari si coordinano in strutture sempre più complesse e affascinanti, atomi, stelle, pianeti, cellule, piante, animali.
Senza soluzione di continuità.
Solo forme di organizzazione diverse, attività diverse.
L’uomo distingue fino a qui sono cose, da qui esseri viventi, e la coscienza appare solo qui, ma ha chiaro che non significa nulla, è comodo da pensare.
Un sasso è vivo tanto quanto un uomo.
Solo che fa il sasso.
E se nessuno volesse fare il sasso, vale a dire il pianeta, nessuno potrebbe fare l’uomo.
E l’intelligenza e la coscienza di un quark del sasso è la stessa di un quark dell’uomo.
Ma la struttura e l’organizzazione dei quark, coordinati in specifici atomi, molecole, cellule, organi, che compongono un uomo, conferiscono al complesso una capacità intellettiva enormemente superiore; e convogliano una quantità enormemente superiore di informazioni alle coscienze dei quark nell’epicentro del cervello.
Cosa che non accade in un sasso, la cui organizzazione è estremamente più semplice, per quanto sempre vorticosa e vibrante della folle vita atomica, ma priva di sistemi di percezione, di nervi afferenti e di un centro di elaborazione.
Per altro l’uomo è riuscito a organizzare sistemi di sassi in modo da ottenere performance computazionali superiori a quelle dell’uomo stesso, ma sono sempre sassi, la loro attività interna non è mutata, sono stati utilizzati da altri, come sassi, per realizzare scopi esterni ai loro.
La vita inorganica è caratterizzata da un grado di coordinamento molto basso, da un forte individualismo, anarchico e monadico: nessuna intenzione particolare, se non estasi meditativa.
Altri elementi, appoggiandosi alla relativa immobilità, ripetitività e prevedibilità degli inorganici, hanno deciso di esplorare la vita molto più stravagante e ambiziosa dell’organico.
Hanno rinunciato a parte della propria libertà, e si sono specializzati in attività caratteristiche, nell’orizzonte di un complesso comune, cui riescono a conferire una potenza, un’intelligenza e una libertà superiori alla somma degli individui componenti.
Per mantenere l’ordine interno e sviluppare l’organizzazione cui hanno deciso di dedicarsi, contro l’imperante poga cosmica che finisce per disgregare e rimescolare ogni cosa, gli organismi hanno imparato ad assorbire energia dall’esterno in una varietà di modi, mettendola a disposizione dei propri fini, così come l’uomo fa con i sassi, che usa per costruirsi ripari, utensili, intelligenze artificiali.
L’intelligenza espressa dai sistemi cresce al crescere della loro complessità.
La coscienza no.
Neppure l’intelligenza cresce davvero; l’intelligenza dell’universo è sempre solo la piccola, ma significativa, intelligenza di ogni minuscolo elementare.
Ma l’organizzazione, il coordinamento, la stratificazione, le ricorsioni, la complessità dei sistemi la elevano a potenza.
Esattamente come fa un uomo quando struttura i sassi in un calcolatore.
O come fa l’umanità quando crea linguaggi, culture, tecnologie che nessun singolo uomo sarebbe capace di produrre.
In effetti anche la coscienza risulta amplificata, nel senso che riceve quantità crescenti di informazioni via via che si sviluppano i sistemi di percezione ed elaborazione dati.
Ma, se ha senso parlare di intelligenza di sistema, pur intendendo qualcosa di diverso dall’intelligenza elementare, in nessun modo ha senso dire che un sistema ha una sua coscienza.
Non esiste una coscienza cosmica, non una coscienza del mondo, né dell’umanità e neppure di un singolo uomo.
Esiste solo la coscienza degli elementari.
L’io che sento in me stesso, che parla, che ascolta, che soffre e gioisce, è l’io del quark che io sono.
Negli animali dotati di un sistema nervoso, che convoglia le percezioni verso un centro di elaborazione più o meno sviluppato, esiste un epicentro, dove una miriade di quark possono recepire, come a dire leggere, le informazioni e le decisioni elaborate.
Ognuno di quella miriade di quark è cosciente e si sente io.
Nell’ipotesi che il quark che io sono potesse essere estratto dall’epicentro del cervello dell’organismo cui appartengo, in quell’istante perderei contatto con tutte le sensazioni ed i pensieri che quell’organismo produce, di fatto morirei a me stesso, sarei rigettato nella condizione elementare, priva di linguaggio, di cultura, di possibilità, e tornerei ad uno stato monadico, travolto dalla poga cosmica, trascinato dal movimento incessante dell’aria, in balia dei turbini atmosferici, di forze immense e caotiche scatenate per ogni dove, fino a quando volessi e riuscissi a fare rotta verso qualche nuovo legame.
Ma l’organismo cui appartenevo non cambierebbe in alcun modo, nessuno si accorgerebbe di nulla, perché le sue caratteristiche appartengono al sistema: il modo in cui parla e si comporta, le espressioni che ha, la memoria, la tipicità del suo pensiero, sono tutte caratteristiche del sistema; cioè la risultante delle miriadi di individualità elementari interagenti, di cui il sistema è espressione.
In ogni organismo ci sono miriadi di quark che si sentono io, che si identificano con quell’organismo, ignari di tutti gli altri, per l’intrigante illusione prospettica propria della coscienza.
L’uomo ha fantasticato a lungo su anime che si reincarnano di corpo in corpo, ma fino a poco tempo fa non aveva mai immaginato miliardi di anime in un unico corpo.
Resta vero che l’io, cioè il quark, è pressoché immortale; e che vive un numero infinito di vite, cioè di esperienze in comunità più o meno complesse e organiche.
Ma non ne ha memoria: la memoria è un costrutto di sistema.