Genesi.

Quando tutto era buio e non c’era luce né niente, venne al mondo questa cosa. 

L’inconcepibile, abissale, dispiegarsi.

Di spazio, tempo, energia, materia e intelligenza.

Un istante dopo l’inizio, l’universo misura dieci metri.

Un microsecondo, centomila miliardi.

E dopo tre minuti, miliardi di miliardi.

Temperatura, densità ed energia sono assurde.

L’intelligenza non sa né capisce nulla, si muove alla cieca nel marasma.


Un uomo che non sa nuotare travolto dall’onda che sprizza dalla breccia nella diga.  

Senza paura o pensiero si agita come viene, mulina braccia e gambe dentro il flutto, e poi verso la superficie, quando capisce che c’è una superficie, impara a tenersi a galla, trascinato da quell’enorme fiume impetuoso, impara a muoversi per schivare rocce, tronchi, impara a risalire i vortici, a sprofondare e riemergere, a cavalcare alberi e costruire zattere, ad accendere fuochi e scaldarsi, mentre viene trascinato via, con una velocità che leva ogni pensiero, che impedisce ogni certezza, perché tutto muta continuamente, rapidissimo, tutto è sempre nuovo e non c’è verso dove o cosa.


Un uomo con un vassoio di calici, migliaia di calici, che inciampa, il vassoio schizza in alto, i calici gli piovono addosso, non sa che fare, freneticamente muove le mani e i piedi tutto intorno, per evitare che i calici si frantumino a terra, e da quella frenesia scomposta, istante dopo istante, capisce come orchestrare la caduta, impara la giocoleria, ma non c’è modo di fissare alcuno schema, perché la quantità enorme di calici che piovono lo porta a modificare continuamente la tecnica, a improvvisarla su scale sempre più complesse e meravigliose. 

Ma non c’è verso dove o cosa.


All’inizio è un caos imperscrutabile, una furia, cose create e distrutte all’istante, miriadi di esperimenti frenetici, un flusso travolgente di energie, spasmi e masse, elementi assoluti e primordiali che annichiliscono gli uni negli altri e vibrano all’impazzata. 

Tre minuti dopo, gli atomi. 

Duecento milioni di anni dopo, le stelle. 

Miliardi di miliardi di chilometri di universo.


L’intelligenza ha imparato a raggrumarsi in idrogeno, elio, litio, ha scoperto come ammassarsi fino a fondere e splendere, fino a esplodere e spandersi in ossigeno, carbonio, ferro, azoto, fino a coagulare nei buchi neri.

Si ammassa in galassie, per miliardi di anni, accelera ancora l’espansione, si allarga in immensi spazi siderali, sperimenta un’infinità di stati e processi. 


Le due immagini, l’uomo travolto dai flutti e l’uomo sotto una pioggia di calici, tradiscono un aspetto sostanziale: l’intelligenza non è una forza esterna che lavora sugli elementi; essa è come lo spazio o il tempo, una dimensione del tutto.

L’elettrone ha una massa, occupa uno spazio, nel tempo, con una energia, e un’intelligenza, sue proprie.

L’intelligenza è uno degli aspetti di questa cosa venuta al mondo, una delle forze intrinseche. 

Ma ogni definizione tradisce ciò che è, ed allo stesso tempo lo rivela: queste stesse parole, come tutto, sono sua espressione.

Il gioco serio dei bambini, l’impulso artistico, la ricerca del senso, sono sue forme autoriflessive. 

Ha aperto occhi orecchie nasi lingue e dita per sentirsi.

Esplora il proprio corpo attraverso i sensi che ha forgiato.

Si guarda attraverso miriadi di occhi. 

Si pensa attraverso miriadi di menti. 

Non ha un’autocoscienza propria, perché è una dimensione, non un individuo; ma s’individua attraverso ogni elemento d’essere, ed ogni elemento è autocosciente al suo grado.

Quando l’intelligenza, dopo miliardi di anni di esperimenti inorganici, scopre la via organica, tutto precipita verso una nuova realtà.

Perché l’intelligenza minima e monadica degli elementi primi all’improvviso trova una via per espandersi e farsi esponenzialmente più complessa.


L’intelligenza di cui si parla non ha nulla in comune con quella che si chiama intelligenza divina. 

Non è conoscenza, non è comprensione, non è controllo. 

È l’intenzione e la capacità che li rende possibili. 

Ma su scala cosmica non sono possibili.

Il tutto non può intendere se stesso.

Questa intelligenza, che agisce nell’universo modificandolo intenzionalmente, non sa né comprende il tutto, non ha controllo, perché è parte del tutto. 


L’uomo di scienza crea microcosmi per i quali ha pieno controllo delle condizioni, sa cosa c’è, compie esperimenti ripetibili indefinitamente; osservando quanto accade al mutare delle condizioni, conosce, comprende e controlla la realtà che ha creato. 

Nella vita non gli è possibile, perché ogni esperimento che tenta modifica le condizioni in cui si ritrova e modifica lui stesso.

L’intelligenza di cui si parla è nella medesima situazione. 


Questa intelligenza è propria di un universo a metà fra due estremi. 

Non è l’universo dei monoteismi, creato da un’intelligenza onnipotente. 

Né l’universo del paradigma scientifico attuale, risultante da una fortuita sequenza di scontri casuali. 

Ma non è neppure un universo pervaso da una unica, segreta intelligenza.

Questa intelligenza non è un tessuto comune su cui ogni cosa si innesta, come non lo sono spazio e tempo. 

Spazio, tempo, intelligenza, energia, movimento non esisterebbero se non ci fossero cose.

E se ci fosse una sola cosa, non occuperebbe spazio né niente: ci sarebbe solo quella cosa. 

Invece le cose sono tante, e ogni cosa ha uno spazio per un certo tempo relativamente alle altre cose. 

Lo spazio c’è fra cose che non si toccano. 

Il tempo fra cose che non sono insieme. 

Il movimento fra cose che si allontanano o avvicinano.

L’energia fra cose che sono in relazione. 

L’intelligenza fra cose che pensano ad altre cose.


Ogni uomo ha un’intelligenza così piccola, ma in duecentomila anni tutti insieme hanno conquistato la Terra, hanno costruito metropoli e razzi, e sono volati sulla Luna: la civiltà, l’arte, la cultura, la tecnologia che hanno sviluppato sono infinitamente più complesse di quanto ognuno di loro avrebbe intelligenza per fare. 

Nello stesso, identico modo, meraviglia, le cose elementari hanno saputo sviluppare l’universo che oggi gli uomini studiano. 


Nessuno può dire tutto ciò che l’intelligenza ha fatto e continua a fare, ma qui ci sono il Sole, i suoi pianeti e la Terra.

Da quattro miliardi e mezzo di anni.

Una nuvola di gas collassa e s’accende in un Sole, che accentua la rotazione della nube fino a trasformarla in un disco, che si raggruma in otto deliziosi pianeti, con le loro lune, terzo la Terra, la più bella.

In origine è un albume, una gelatina proteiforme, un’enorme cellula pulsante di vita, un plasma proteinico pullulante di miriadi di microrganismi alacremente al lavoro, ognuno a estrudere il suo minuscolo guscio, sfoglie di calcare che continuano a vorticare anche quando l’organismo non c’è più, finché precipitano in grumo al centro.

Il nocciolo pesa e altera ogni equilibrio.

La soluzione si separa, gli elementi si differenziano, i sali si depositano intorno alla cartilagine, formano un osso duro e resistente, l’aria e l’acqua assumono la consistenza attuale, la soluzione schiarisce, cresce la pelle, avviluppa gli organi, ma non c’è un verso dove o cosa, tutto continua a mutare, la pelle si trasforma e corruga, le catene montuose emergono, i continenti sprofondano, si spostano, la Terra vive. 

E su di essa prosperano quantità incredibili e incredibilmente diverse di forme di vita.


Quattro miliardi di anni fa l’intelligenza impara a costruire le prime molecole organiche: lunghe catene e anelli di carbonio strutturato in amminoacidi, zuccheri, basi azotate.

Finché un giorno d’improvviso intuisce un filamento che sa produrre una copia di se stesso. 

È un guizzo, una svolta improvvisa e inaspettata, la scintilla che innesca un nuovo piano di sperimentazione. 

Avviluppa il filamento in una membrana, trova forme di collaborazione con piccole proteine, inventa un doppio filamento ad elica, e nel giro di qualche centinaio di milioni di anni perviene alla prima cellula, il procariote. 

I procarioti si moltiplicano e differenziano in una varietà di batteri e archei.

Molti sviluppano fimbrie, fruste, code rotanti, zampette, per nuotare, camminare e saltellare nel mondo; altri si lasciano trasportare.

Chi si nutre di zuccheri, chi di zolfo, ferro, ammoniaca, a chi piacciono i nitrati, e chi vive di luce: assorbe l’energia del sole e fa fotosintesi con l’anidride carbonica e l’acqua, ricavando ciò che serve mentre rilascia ossigeno. 

Sono una goccia d’acqua zeppa di sali, amminoacidi, proteine e cromosoma, protetta da una membrana.

Una goccia d’acqua che mangia altra roba, cresce, e si riproduce identica: il cromosoma fa una copia di se stesso, i due gemelli si spostano alle estremità opposte della cellula, la membrana interpone un prolungamento interno, e le gocce ora sono due, si separano.

È la vita per davvero. 

Che si sfrena così, fantasticamente, per miliardi di anni. 

Finché un giorno scopre qualcosa che cambia di nuovo tutto. 

Un giorno un procariote abituato a vivere senza ossigeno ne fagocita uno che invece respira, ma non lo digerisce, lo tiene dentro, lo protegge e lo nutre, e quello in cambio gli fornisce energia, diventa un organulo della grande cellula, che invagina la membrana e racchiude il cromosoma in un nucleo riparato.  

Ecco l’eucariote.

Due miliardi di anni fa.


L’intelligenza continua ad esplorare nuove soluzioni con fantasia e creatività.

Inventa il sesso. 

Una cellula eiacula una mezza copia di sé, un’altra fa lo stesso, le due mezze cellule s’incontrano e si fondono l’una nell’altra, generando una nuova cellula diversa da entrambe, una sintesi imprevedibile. 

Impiega un miliardo di anni per mettere a punto l’ingegnoso stratagemma, ma la variabilità genetica a cui perviene è sconfinata.

Milioni, forse miliardi di specie diverse di eucarioti.

Lieviti, alghe, amebe proliferano in ogni ambiente del mondo. 

E poi si aggregano, scoprendo che il gruppo protegge e procura nutrimento più efficacemente.

Diventano colonie stabili ed ereditarie.

All’interno delle quali le cellule imparano a comunicare e specializzarsi, scoprendo che in un gruppo la specializzazione risulta molto più efficiente.

Finché iniziano a riprodursi non più come singole cellule ma come un tutt’uno.


Sono trascorsi tredici miliardi di anni da quando è iniziata questa cosa, quattro miliardi da quando è iniziata la Terra e poi la vita elementare e minuscola, un miliardo da quando è iniziato il sesso, ed ora che ha scoperto gli organismi pluricellulari l’intelligenza si getta a capofitto nella costruzione di piante e animali via via più complessi, e più grandi, fino a dimensioni colossali, nel giro di cinquecento milioni di anni, dai filamenti di alghe verdi lunghi qualche millimetro per pochi microgrammi, alle posidonie oceaniche estese su centinaia di chilometri e pesanti migliaia di tonnellate; dai placozoi di mezzo millimetro e neppure un milligrammo, ai titanosauri di 37 metri per 70 tonnellate.

Ma l’esuberante gigantismo viene stroncato 60 milioni di anni fa da un asteroide che precipita nel golfo del Messico e sconquassa il clima, determinando in breve la scomparsa di quasi tutte le specie sperimentate fino a quel momento. 

Si salvano i piccoli, i resistenti, i prolifici.

Si diffondono i mammiferi, apparsi già da duecento milioni di anni. 


I mammiferi sono l’ennesima meraviglia.

Dopo aver protetto lo sviluppo degli embrioni dentro le uova, l’intelligenza scopre la bellezza struggente di far crescere un nuovo organismo dentro la madre, riparato nel grembo, avviluppato dalla placenta, nutrito attraverso il cordone ombelicale, e poi, quando nasce, attraverso il latte che sugge premendo le labbra al seno della madre.


Il nutrimento, la digestione, l’assimilazione, l’accrescimento sono forme di movimento. 

Il movimento è una delle qualità intrinseche di tutta questa cosa.

L’immobile non esiste.

Questa cosa è dispiegarsi, cioè azione.

L’azione è anche trasformazione, cioè mutamento di forma: ogni istante la forma è diversa da come era l’istante prima. 

Nutrirsi, crescere, degenerare e morire sono questa stessa cosa sul piano della vita organica.

La vita organica è la chimica atomica che è l’azione quantistica, intenzionata dall’intelligenza per come può, capisce e impara. 

La nascita di un organismo è esattamente come il comporsi di due atomi di idrogeno con uno di ossigeno in una molecola d’acqua, che vive fino a quando un giorno un filo d’erba l’assorbe e la sottopone a fotosintesi, uccidendola, risolvendola, negli elementi originari. 

L’intelligenza ha chiuso un cerchio a principiare dagli organismi che sanno nutrirsi di luce, che divengono nutrimento degli erbivori, che divengono nutrimento dei carnivori, che vengono infine scomposti negli elementi che sorreggono la fotosintesi dei primi. 

La bellezza di questo cerchio è incontestabile. 

Ma l’intensità con cui soffrono gli esseri complessi allorché divengono nutrimento lo è altrettanto.

Difatti sono in corso mutazioni immani, tali per cui un giorno tutti sapranno sfamarsi di stelle.


Come la Terra, che succhia l’energia del Sole, e da seme diventa fiore.

Il nocciolo duro rimane coperto dal mare per un miliardo di anni. 

Lentamente si gonfia e comincia a rompersi, i continenti affiorano, li muove intorno, si avvicinano, si scontrano, si uniscono, si riplasmano e riallontanano. 

Rocce e deserti per due miliardi di anni.

Un paesaggio marziano. 

Fino a cinquecento milioni di anni fa, quando l’intelligenza sfrenata trasforma il fondo del mare in una prateria meravigliosa, la popola di ogni sorta di pesci e creature fantastiche, risale sulle coste con distese di muschi, si allunga nell’entroterra con giungle di felci, e centocinquanta milioni d’anni fa sboccia il primo fiore: una sorprendente e incantevole creatura simile ad una ninfea.

Qualche dinosauro ne apprezza il sapore. 

Gli insetti ci si tuffano e lo trasportano per ogni dove. 

La Terra sboccia in immense foreste lussureggianti di magnolie, lauro, pepe.


Pullulanti di una vita smaniosa e imprevedibile.  

Sono i discendenti di alcune creature marine che quattrocento milioni di anni fa si erano fatte così ardite da spingersi all’asciutto, prima gli artropodi, poi gli anfibi.

Certi anfibi erano diventati rettili, avevano zampettato e strisciato per tutta la Terra, avevano messo le ali e conquistato anche il cielo, erano diventati uccelli e sono sopravvissuti anche loro al catastrofico asteroide.


Come i mammiferi, alcuni dei quali, pochi milioni di anni dopo, trasformano le zampe in mani, e sviluppano la prensilità fino a opporre il pollice alle dita. 

L’intelligenza ha scoperto che può afferrarsi. 

Afferra ogni cosa che capita a tiro, come un neonato, afferra e stringe, rotea occhi che non sanno ancora vedere, porta alla bocca e mordicchia con le gengive morbide, cerca di capire dove è finita, come è fatto il mondo, cosa ci fa lei qui.

Cerca un ramoscello adatto, strappa le foglie, lo infila in una fessura dove ha visto una termite, la infastidisce finché abbocca: l’estrae al volo e se la mangia.

Mostra ai cuccioli come si fa. 

Diffonde cultura.

Un giorno, partorisce anche un uomo.